La psicologia dello sviluppo studia da più di un secolo con metodologie scientifiche lo sviluppo degli esseri umani non solo nell’età evolutiva (dalla vita fetale e dalla nascita fino all’adolescenza e giovinezza) ma lungo tutto il ciclo della vita. Essa ha elaborato, soprattutto negli ultimi cinquant’anni, alcune conoscenze di fondo che possono essere così brevemente sintetizzate:
Sulla base di queste premesse, ci chiediamo quale sia l’ambiente di sviluppo ottimale per un neonato. La risposta è che quest’ambiente è costituito dalla madre biologica e dal padre biologico, legati da un vincolo affettivo stabile; questo non certo perché la procreazione in sé garantisca la capacità di essere per i figli figure di attaccamento e genitoriali valide, ma perché la favorisce. Sono queste le condizioni a cui la filogenesi ci ha adattati al fine di assicurare non solo la sopravvivenza ma il migliore sviluppo, nella lunghissima infanzia degli esseri umani, che necessitano per molti anni di adulti accudenti e responsivi. Poiché questa condizione ambientale ottimale non sempre si realizza per le ragioni più diverse (morte, abbandono, rifiuto, ecc.) la società e i singoli hanno sempre cercato di offrire ai nuovi nati alternative per sopperire alla mancanza di uno o di entrambi i genitori. Occorre però essere consapevoli che non si tratta di condizioni ottimali, ma di rimedi, più o meno validi a seconda delle circostanze, a situazioni critiche e carenti.
Gli adulti – non importa se eterosessuali od omosessuali – che intenzionalmente procreano dei figli senza poter loro garantire, fin dal concepimento e dalla nascita, la presenza materna e paterna li privano fin dall’inizio della loro vita di un ambiente di sviluppo ottimale. Essi coscientemente accettano di non dare ai propri figli le condizioni più adatte a garantire il miglior sviluppo psicologico. Per questo, al di là delle dichiarazioni verbali, la loro scelta appare motivata non tanto dall’interesse del bambino ma dal proprio desiderio di avere un figlio.
Per queste ragioni, la tutela dei bambini richiede ai singoli di rinunciare a procreare, anche se oggi le tecnologie lo consentono, quando le condizioni di sviluppo a cui la filogenesi ci ha adattati non sono garantite fin dall’inizio della vita. Si tratta di riconoscere, a livello individuale e sociale, che il desiderio degli adulti non configura il diritto di avere un figlio. Più in generale, si tratta di riconoscere che il desiderio adulto non è onnipotente e che la realtà impone dei limiti. Questi sono evidenti e insuperabili nel caso di persone dello stesso sesso, poiché l’omosessualità è biologicamente sterile; la fecondazione può quindi avvenire, nel caso di una coppia di donne, solo con il ricorso al seme maschile, oppure, nel caso di una coppia di maschi, con il ricorso all’utero in affitto.
Rimane la necessità di tutelare i figli di quegli adulti che hanno intenzionalmente ignorato le esigenze di sviluppo dei bambini. Concordo con la scelta, operata nel nostro paese (Corte di Cassazione, 2019), di prevedere, in questi casi, la possibilità di adozione. Come psicologa dello sviluppo e dell’età evolutiva, non posso che disapprovare l’uso strumentale di questi casi per far accettare dall’opinione pubblica norme che non tutelano le necessità di sviluppo dei bambini fin dall’inizio della loro vita, necessità che sono ormai state ben individuate dalle scienze psicologiche.
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