Il tema della paura del conflitto nei genitori non è facile; non perché questa paura non sia diffusa, ma perché è meno riconosciuta e quindi ne siamo meno consapevoli: vediamo certi comportamenti che non ci convincono, ma ci è molto meno chiaro ciò che sta dietro ad essi. Ad
esempio, quando un genitore difende ad oltranza, contro la scuola e contro gli altri compagni, il cattivo comportamento del proprio figlio (ad esempio, un atto gratuitamente violento), ci rendiamo conto che questo è sbagliato. Pensiamo che è questione di cattiva educazione, di mancanza di regole, e certo questi aspetti ci sono. Ma c’è molto di più e quel comportamento del genitore è il punto di arrivo di una serie di atteggiamenti e comportamenti precedenti, che hanno portato nel tempo a quella che tutti viviamo come un’aberrazione e a un rovesciamento dei ruoli. Sono atteggiamenti e sentimenti che magari qualche volta ci hanno anche sfiorati, perché forse siamo stati anche noi qualche volta, per un attimo, tentati di fare lo stesso quando si trattava dei nostri figli.
Cerchiamo allora di capire meglio i termini della questione e i processi in gioco. Partiamo da quella “buona relazione” di cui si parla. Tutti naturalmente preferiamo che tra genitori e figli ci sia una buona relazione: armonia, accordo, serenità, dialogo. Quest’immagine è stata molto usata dalla pubblicità nella famosa “famiglia del mulino bianco”, che è diventata – purtroppo – un punto di riferimento, un ideale inconsapevole per molti genitori. Dico purtroppo perché si tratta ovviamente di un’immagine stereotipata, fasulla e irraggiungibile. Di fatto, come ogni genitore sa, i bambini sono sovente irrequieti, disubbidienti, oppositivi, litigano con i fratelli, fanno i dispetti, non fanno i compiti, eccetera.
Ma quest’immagine pubblicitaria di buona relazione non è solo irrealistica; è fasulla e pericolosa. Perché? Perché educare un bambino vuol dire necessariamente scontrarsi, anzitutto con la sua tendenza all’egocentrismo. Il bambino è per sua natura egocentrico, non solo emotivamente (tutto è riferito a lui), ma anche cognitivamente: il suo punto di vista è l’unico possibile, l’unico preso in considerazione, l’unico che conosce. Solo anni di educazione e di vita sociale porteranno il bambino, anche grazie al concomitante sviluppo cognitivo, a capire che esiste anche il punto di vista altrui. Ma questo risultato non è scontato; anche gli adulti possono crescere (per isolamento, poca educazione) con un egocentrismo di fondo, anche se cognitivamente sarebbero capaci di assumere il punto di vista altrui. Il risultato è quello di un adulto che, pur avendo gli strumenti cognitivi per assumere il punto di vista altrui ed essere partecipe, è ormai strutturato in modo egocentrico; diremo meglio, a questo punto: egoista.
Si badi bene che non si vuole con questo dire che la natura umana è di per sé “cattiva”. La psicologia dello sviluppo ha ben mostrato che esistono nel bambino, fin da piccolissimo, capacità di relazione sociale positiva: empatia, collaborazione, pro socialità, altruismo. Ho dedicato molta della mia attività di ricerca proprio a questi temi. Ma queste possibilità di “socialità positiva” coesistono con le tendenze aggressive ed egocentriche e finiscono per soccombere se non vengono educate adeguatamente. Non fioriscono spontaneamente da sé, lasciando il bambino crescere senza alcun intervento educativo, come certe idee ingenue e infondate dello sviluppo talvolta ritengono.
Ecco allora che noi abbiamo un bambino in crescita e un adulto, più precisamente un genitore, con una responsabilità educativa nei suoi confronti. È una relazione necessariamente asimmetrica e non è un rapporto tra pari; in essa il conflitto è normale e anzi è necessario per la crescita: fa vedere punti di vista diversi, modi differenti di risolvere i problemi, soluzioni impensate e più creative. Non si tratta di un conflitto con il bambino in sé, ma con il suo egocentrismo, il suo desiderio di avere tutto subito (che sembrerà peggiorare in adolescenza). Egocentrismo che è favorito oggi dal consumismo: avere tutto, avere subito, avere qualunque cosa senza limiti, soddisfare ogni desiderio.
Capiamo allora che la buona relazione di cui oggi sovente si parla è nient’altro che una rinuncia al conflitto e con esso rinuncia alla responsabilità educativa, con tutte le conseguenze molto negative che ne derivano. Oggi avviene che sovente gli adulti hanno paura del conflitto, e lo vivono male per diverse ragioni.
Il risultato di tutto questo, della rinuncia a svolgere un ruolo educativo, non è una migliore relazione, ma una maggiore sofferenza sia dei genitori che dei bambini, e non solo in adolescenza. Perché si finisce per intervenire malamente quando non se ne può più, quando il rischio per il bambino è reale; oppure si diventa depressi (la propria vita è in mano agli umori dei bambini e non si ha senso di controllo, non ci si sente efficaci come genitori) o ancora aggressivi, quando l’emozione travolge.
Ricordiamo ancora che la relazione educativa è asimmetrica. È allora chiaro che è necessario prendere una certa distanza emotiva dal bambino per avere un ruolo genitoriale, altrimenti ci si identifica con lui, con il suo egocentrismo, con la sua visione limitata. L’obiettivo non è l’indifferenza, ma il mantenere il proprio ruolo educativo.
Questo non è di certo facile in un momento di crisi di valori sociali condivisi, che lascia i genitori soli, confusi, senza punti di riferimento, a combattere contro forze economiche potenti. Questo però apre anche degli spazi positivi di scelta. Ma la scelta richiede maggiore consapevolezza; obbliga i genitori a chiedersi: quali sono per me le cose importanti da proibire e da permettere? Che modello ho in mente?
La mancanza di punti di riferimento fissi, come in passato, è una grande opportunità, ma va vissuta con responsabilità, altrimenti si cade nella confusione. I genitori quindi oggi sono più soli, con meno riferimenti certi, ma possono anche far passare i valori in cui credono. L’importante è che si interroghino e che prendano in mano il loro ruolo educativo, senza lasciarsi trascinare da una società consumistica che li vorrebbe solo nel ruolo di coloro che assecondano in tutto i loro figli e i loro acquisti.
C’è in particolare un compito importante dei padri, che certo non sono più relegati in un ruolo sociale e strumentale come in passato. Ma non devono diventare delle seconde madri, ma dei riferimenti che controbilanciano il frequente eccesso di coinvolgimento materno.
In conclusione, ricordiamo che i pilastri dell’educazione autorevole sono: l’amore per i figli (non oggetti da esibire, non giocattoli da cui farsi consolare); il dialogo e la buona comunicazione; il sostegno; le regole e il rispetto. Questa è la buona relazione, non quella fasulla che viene dall’illusione di eliminare ogni conflitto, ogni dolore, ogni limite. Il limite, e il relativo dolore, sono aspetti costitutivi della persona umana, e il conflitto è qualcosa che aiuta a confrontarsi e a crescere.
[1] S. Bonino, Mille fili mi legano qui. Vivere la malattia, Laterza, Roma-Bari 2006.
Da: S.Bonino, Paura del conflitto e genitorialità: il ricatto della “buona relazione”. Minori giustizia, n. 2, 2009, pp.14-18.
Per saperne di più: S. BONINO, Quando i bambini sono piccoli, Milano: Fabbri, 2012.
Il sito è di proprietà di Silvia Bonino, che lo aggiorna e gestisce autonomamente. E’ fatto pertanto divieto di copiare, modificare, caricare, scaricare, trasmettere, pubblicare, o distribuire per se stessi o per terzi per scopi commerciali il contenuto del sito se non dietro autorizzazione scritta di Silvia Bonino.