1.1. Una situazione paradossale
Nel rapporto con i propri figli, i genitori stanno vivendo negli ultimi anni una situazione per molti aspetti paradossale. Infatti i bambini che oggi vengono al mondo sono il frutto, nella stragrande maggioranza dei
casi, di una scelta precisa e di una programmazione della nascita. Si tratta quindi di bambini voluti e desiderati, che non sono nati né per caso né per costrizione. Allo stesso tempo, questi bambini così amati crescono in condizioni di vita molto positive per lo sviluppo, quali raramente l’infanzia ha visto nel corso della storia umana. Sono bambini tutelati al massimo sul piano sanitario, grazie alle cure neonatali, alle buone condizioni igieniche e alle vaccinazioni. Per essi la morte durante l’infanzia è un evento del tutto eccezionale, ribaltando una situazione di diffusa mortalità che era invece la norma anche nel mondo occidentale fino a non molti decenni fa. Sono bambini che vivono in condizioni di diffuso benessere, in una società che non a caso, per la sua ricchezza, è scelta dai poveri del mondo come luogo in cui dare un futuro a sé e ai propri figli. Di conseguenza, essi non patiscono alcuna restrizione, né alimentare né di altro tipo, ma vedono anzi la soddisfazione di ogni bisogno, sia necessario che superfluo. Ancora, si tratta di bambini che, pur nella penuria di servizi per l’infanzia che caratterizza la società italiana, andranno molto probabilmente alla scuola dell’infanzia, dove sarà loro permesso di esprimere le loro potenzialità attraverso il gioco e il disegno; in seguito frequenteranno per molti anni la scuola dell’obbligo e non diventeranno degli adulti analfabeti né saranno inseriti precocemente sul mercato del lavoro, come molti dei loro avi.
I bambini crescono dunque in una condizione che sembra essere ottimale per il loro sviluppo, sia sul piano affettivo che materiale. Eppure, nonostante ciò, è molto facile oggi incontrare genitori che si trovano in grande difficoltà nel rapporto con i figli, fin da quando sono piccoli. Non pochi genitori vivono una quotidianità molto faticosa, fin dall’infanzia e dalla fanciullezza, che è spesso fonte di delusione e rappresenta una cattiva premessa per lo sviluppo futuro. Allo stesso tempo molti figli, ben prima dell’adolescenza, sono aggressivi, scontenti, esageratamente reattivi e incapaci a far fronte alle comuni difficoltà sia in famiglia che fuori di essa. C’è insomma un diffuso disagio nelle famiglie attuali, nonostante le indubbie condizioni positive in cui avviene oggi lo sviluppo dei bambini, che appare legato ad alcune caratteristiche, contraddizioni e ambiguità del ruolo genitoriale nella società attuale[1].
1.2. Famiglia e società
Le rapide trasformazioni economiche e culturali hanno profondamente inciso sul rapporto tra famiglia e società. I modelli e le regole sociali a cui la famiglia era chiamata a educare i futuri adulti si sono via via appannati e spesso dissolti sotto la spinta dei mutamenti sociali, e la famiglia ha gradualmente perso il suo ruolo di tramite tra i figli e la società. Come conseguenza, non solo sono diventati sempre meno chiari i modelli di adulto, e quindi anche di società futura, a cui si vogliono educare i figli; in modo più radicale, non poche famiglie hanno progressivamente escluso la società dalla propria relazione con il figlio, considerandola del tutto personale e privata.
Si è così dimenticato il rapporto obbligato che lega i genitori alla società dal momento in cui nasce un figlio. Infatti un bambino non appartiene ai genitori, e nemmeno alla famiglia allargata o alla parentela. Un figlio oltrepassa i genitori, sia in senso fisico che temporale. Egli ha una propria individualità e i genitori sono chiamati a crescerlo non solo per sé, ma per renderlo capace di vivere e realizzarsi come persona autonoma, al meglio delle proprie potenzialità, nella società di domani. Durante l’età evolutiva, la società è indispensabile per realizzare lo sviluppo dei figli come individualità differenziate dai genitori, come ben evidenzia il ruolo centrale svolto dalla scuola nello sviluppo di un bambino. Proprio per l’inscindibile legame tra famiglia e società, la chiusura della famiglia in se stessa e la sua pretesa di ignorare la società e le sue richieste sono spesso fonte di disorientamento per i bambini e di conflitti con le istituzioni sociali, prima fra tutte la scuola.
1.3. La chiusura nella dimensione affettiva e l’iperprotezione
Un aspetto importante della famiglia attuale è la centralità della dimensione affettiva. Il recupero dell’importanza della relazione affettiva nel rapporto tra genitori e figli deriva dalla volontarietà della scelta di diventare genitori, resa possibile dalla contraccezione, e dal conseguente investimento affettivo su pochi figli, voluti e desiderati, che hanno altissime probabilità di raggiungere l’età adulta, grazie alla drastica diminuzione della mortalità infantile. Oggi nel mondo occidentale si hanno pochi figli - in particolare nel nostro paese dove la natalità è molto bassa - e con essi si stabilisce un legame affettivo intensissimo. Questa dimensione affettiva, spesso trascurata in passato, è di per sé positiva, ma può diventare distorta se non è bilanciata dall’apertura al mondo sociale.
La grande condivisione affettiva può portare infatti a un eccesso di vicinanza, quasi di confusione e di indifferenziazione, tra il genitore e il bambino. Il forte legame affettivo con il figlio può così far dimenticare al genitore che il figlio è un essere autonomo, diverso fisicamente e psicologicamente, con una propria specifica individualità. I problemi derivanti da questa eccessiva vicinanza si presentano ben prima dell’adolescenza, fin da quando il bambino è piccolo. Per esempio, sovente i genitori interferiscono nella vita sociale del bambino, in particolare nei conflitti con i coetanei, per proteggerlo e difenderlo dai compagni, fin dalla scuola dell’infanzia. In questo modo ai piccoli viene negata la possibilità di vivere in modo autonoma la propria vita di relazione al di fuori della famiglia e di imparare a far fronte ai conflitti, con un impoverimento delle capacità sociali e il mancato apprendimento di competenze vitali.
Questi comportamenti genitoriali configurano sovente un’iperprotezione, che altro non è che una forma mascherata di rifiuto, poiché vengono negate le specificità del figlio, la sua diversità, la sua autonomia dalla sfera d’intervento del genitore. L’eccesso di amore non porta all’accettazione dell’altro, ma al suo soffocamento come essere autonomo, come se il bambino dovesse continuare a vivere in una bolla con il genitore. Di conseguenza, non di amore vero per il figlio si tratta, ma di amore per sé, nel quale il figlio viene inglobato.
1.4. L’indifferenziazione tra sé e il figlio
Una conseguenza del forte coinvolgimento affettivo è la condivisione da parte dei genitori dei vissuti, punti di vista ed emozioni dei figli. Anche questo è un aspetto positivo, perché rende gli adulti attenti e sensibili alle esigenze dei bambini. La condivisione diventa però negativa quando si presenta nella forma primitiva del contagio emotivo, nel quale i confini tra sé e l’altro si perdono e le emozioni altrui diventano automaticamente le proprie, senza alcuna mediazione cognitiva. Un genitore che assorbe in modo totale le emozioni del figlio non svolge più un’azione educativa nei suoi confronti, perché non è più capace di porre dei limiti, di tollerare le emozioni negative del bambino, di attuare comportamenti di aiuto e di agire per il suo bene.
Il contagio emotivo con i figli non solo fa dipendere il benessere dell’adulto dalle emozioni del bambino; esso ingabbia quest’ultimo nel suo egocentrismo e nel suo senso di onnipotenza, poiché lo fa crescere nella convinzione di poter con le sue manifestazioni emotive manipolare il genitore e ottenere da lui tutto ciò che vuole.
La scarsa distanza emotiva tra sé e i figli è poi all’origine della condiscendenza nei loro confronti. Si accetta ogni richiesta del bambino perché gli si vuole evitare ogni sofferenza e ogni emozione negativa, come rabbia, gelosia o tristezza. La comparsa di queste emozioni provoca infatti nei genitori, a causa dell’indifferenziazione e del contagio, un disagio intollerabile. Quella che sembra una protezione del bambino è dunque, in realtà, una protezione di sé: non si sanno fronteggiare le emozioni negative del bambino e ancor meno si accetta di esserne direttamente la causa. Il risultato è un atteggiamento di totale sottomissione al volere dei piccoli, che conduce in realtà a una situazione di continuo malessere sia del bambino che dei genitori. Questa mancanza di limiti, non permettendo di sperimentare le proprie possibilità, ha effetti negativi sullo sviluppo dell’identità e delle capacità necessarie per affrontare le difficoltà, con conseguenti fragilità e scarsa fiducia in sé. Senza l’esperienza del limite ai propri desideri, i bambini crescono insicuri e incerti su di sé e sulle le proprie capacità.
1.5. L’assenza di modelli colmata dal consumismo
La società dei consumi ha preso al volo la possibilità di vendere prodotti per l’infanzia facendo leva sull’affetto verso i figli e sui sensi di colpa nel rifiutare ciò che essi chiedono. Anche per genitori saldi nei propri valori e principi educativi è difficile arginare le richieste dei bambini, spinte dalla pubblicità e da precise strategie di vendita, mirate a trasformare i bambini in consumatori.
In modo ancora più profondo, il consumismo fa leva non solo sugli affetti, ma anche sulla mancanza di modelli educativi forti. In un mondo in rapidissima trasformazione, non è chiaro a quale modello di adulto fare riferimento nell’educazione di un bambino, quali valori privilegiare, quali strumenti educativi utilizzare per raggiungere i propri obiettivi. I modelli consumistici proposti dai media hanno prontamente riempito il vuoto lasciato dalla scomparsa di altri modelli, colmando il senso di smarrimento e spaesamento che molti genitori vivono di fronte al loro compito. Non pochi genitori si limitano a seguire ciò che viene via via proposto dai media e dalla pubblicità, anziché chiedersi su quali valori, principi e obiettivi fondano l’educazione dei propri figli.
In questo passività, alcuni genitori hanno addirittura perso la consapevolezza della necessità di dover svolgere un ruolo educativo nei confronti dei figli e si propongono come degli amici compiacenti, pronti a soddisfare qualunque richiesta. Lo stravolgimento del ruolo genitoriale porta a trattare i figli come dei coetanei: essi vengono coinvolti nelle attività adulte, e sovente anche nelle loro conflittualità emotive, a danno del loro sviluppo. Questa precoce adultizzazione dei figli è fonte di grande disagio, poiché essi si trovano a fare esperienze inadatte ai loro ritmi di sviluppo, che sono sovente anche molto ansiogene.
1.6. L’equilibrio tra affetto e autorevolezza
In questa situazione, il recupero di condizioni di benessere nelle famiglie attuali passa attraverso la capacità di coniugare in modo equilibrato l’affetto con l’autorevolezza, che altro non è se non l’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli, a cui è stata data la vita. Senza l’autorevolezza, l’affetto rischia di diventare una gabbia soffocante e limitante per lo sviluppo del bambino, e non un positivo atteggiamento fatto di disponibilità, accettazione, sostegno e dialogo, in grado di promuovere al meglio lo sviluppo. L’autorevolezza è data non solo dalla presenza di regole di cui viene richiesto il rispetto, e quindi da un insieme di approvazioni e di lodi da un lato, e di disapprovazioni e punizioni, adatte all’età, dall’altro. Essa si esercita anche attraverso l’organizzazione della giornata del bambino, con attività e ritmi adeguati, non caotici e non eccessivi. Recuperare l’autorevolezza significa per i genitori riflettere su quali sono i modelli e i valori che guidano l’azione educativa nella vita quotidiana, in modo da arrivare a scelte il più possibile consapevoli: un esercizio indispensabile, nel quale i figli sono di stimolo alla crescita dei genitori.
Per un approfondimento di queste tematiche si veda: S. Bonino, Quando i bambini sono piccoli, Milano: Rizzoli, 2012.
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